IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento in epigrafe indicato a carico di Orru' Efisio, ha pronunciato la seguente ordinanza; F a t t o Con decreto 19 dicemmbre 1997 il g.i.p. disponeva il giudizio nel confronti di Orru' Efisio per il delitto di sequestro di persona aggravato in danno del coniuge Mazzucchelli Giovanna, fatto commesso in Brescia il 7 settembre 1996. Al dibattimento, celebrato in presenza dell'imputato detenuto per altra causa, veniva assunta la prova orale, in particolare erano assunti in qualita' di testimoni, tra l'altro, la parte offesa, Mazzucchelli Giovanna, moglie dell'imputato, nonche' Mazzucchelli Giuseppina, Bonetti Silvana e Bonetti Emma, sorelle della parte offesa. In occasione della deposizione dei precitati testimoni il pubblico ministero procedeva a contestazione delle pregresse dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria a fronte delle diverse affermazioni dibattimentali o comunque degli scarsi ricordi. Piu' precisamente, la difformita' era radicale quanto ai testi Mazzucchelli Giovanna e Mazzucchelli Giuseppina, dal momento che la prima negava del tutto i fatti all'epoca descritti ai carabinieri e nonostante l'ammonimento formale da parte del giudice, negando in particolare la veridicita' sia dei denunciati atti di violenza sia in specie del sequestro, mentre la seconda dichiarava che quanto in precedenza affermato ai carabinieri era del tutto inventato non essendo vero alcunche' dei fatti all'epoca narrati, e cio' anche dopo il formale ammonimento da parte del giudice circa l'impegno assunto con il giuramento. All'esito il pubblico ministero chiedeva, ai sensi dell'art. 500 c. 4 c.p.p., come riformulato dalla legge n. 63 del 2001, l'acquisizione del verbale delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da Mazzucchelli Giuseppina, verbale utilizzato per le contestazioni nel corso dell'esame della teste. Con ordinanza del 30 novembre 2001 il giudice respingeva l'istanza rilevando l'assenza in atti di elementi concreti circa la subornazione della testimone ovvero circa il compimento di atti di violenza o minaccia verso il teste medesimo al fine di indurlo a falsa testimonianza. Quindi il giudice sollevava ex officio e nei termini appresso specificati la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500 c. 2-4 c.p.p., come modificato dalla legge n. 63 del 2001. D i r i t t o Ritiene il giudicante che la decisione odierna transiti necessariamente, in termini procedurali e impregiudicata la valutazione nel merito delle dichiarazioni testimoniali, attraverso il disposto dell'art. 500 comma 2 c.p.p. che regolamenta l'utilizzo in sede dibattimentale delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dalle persone assunte in qualita' di testimoni. Ed invero, per come gia' osservato, in occasione dell'audizione di alcuni dei testimoni assunti il pubblico ministero ha proceduto alla contestazione delle precedenti dichiarazioni. Si tratta allora di verificare in quali termini, a norma del nuovo testo dell'art. 500 c.p.p., sia possibile l'acquisizione dei verbali utilizzati per le contestazioni e, soprattutto, se quei verbali abbiano o meno un qualche valore probatorio. Va preliminariamente precisato che la questione che si intende sottoporre al vaglio della Corte costituzionale, riguardando l'art. 500 c.p.p. come oggi formulato a seguito della riforma contenuta nella legge n. 63 del 2001, e' rilevante nell'odierno procedimento esclusivamente quanto alle deposizioni di Mazzucchelli Giuseppina, Bonetti Silvana e Bonetti Emma dal momento che il verbale delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da Mazzucchelli Giovanna e' gia' stato acquisito, ai sensi dell'art. 500 c.p.p. previgente, all'udienza del 23 gennaio 2001, e per quel verbale valgono i criteri di acquisizione e valutazione precedenti avuto riguardo alla norma transitoria di cui all'art. 26 della citata legge n. 63. Cio' premesso, si osserva che il pubblico ministero, a fronte della divergenza del portato orale reso alla polizia giudiziaria e quello dibattimentale, ha utilizzato per le contestazioni le dichiarazioni rese ai carabinieri dalle testimoni sopra indicate; l'art. 500 c.p.p., peraltro, consente l'utilizzo delle succitate dichiarazioni a fine di contestazione limitandone l'utilizzo per la valutazione della credibilita' del teste (comma 2), mentre non vi e' disposizione che consenta per un verso l'acquisizione del verbale e per altro verso l'utilizzo a fini probatori delle dichiarazioni rese in precedenza e difformi da quelle rese in dibattimento. La disposizione normativa sul punto e' chiara e non autorizza interpretazioni diverse atteso il preciso incipit Fermi i divieti di lettura e di allegazione" laddove in presenza di un divieto di tal genere, congiuntamente ad una disposizione che limita l'utilizzo delle dichiarazioni pregresse alla valutazione di credibilita' del teste, e' escluso categoricamente che possano acquisirsi quelle dichiarazioni e tanto piu' che possano utilizzarsi al fini della prova del fatto sub iudice. D'altronde la portata restrittiva della norma si evince anche dal disposto del comma 4 che disciplina le ipotesi, invero particolari, del teste suboruato ovvero sottoposto a violenza e minaccia, casi nei quali il legislatore ha ritenuto acquisibile il verbale delle precedenti dichiarazioni proprio in virtu' delle condizioni in cui e' avvenuta la deposizione. Ma vi e' di piu', il divieto di utilizzazione dei verbali al di fuori della predetta ipotesi si evince anche dall'ultimo comma che ammette l'acquisizione in questione, fuori dei casi di cui al comma 4, soltanto su accordo delle parti, evidentemente escludendo qualsivoglia inserimento nel fascicolo del dibattimento dei verbali d'indagine in assenza delle ipotesi di reato del comma 4 ovvero dell'accordo delle parti. Ed allora, se questa e' l'unica interpretazione ammissibile dell'art. 500 comma 2 c.p.p. ad avviso del giudice vi e' contrasto tra la norma stessa e gli artt. 2, 24 comma 1, 25 comma 2 e 101 comma 2 Cost. Ed invero, la stessa legge ordinaria ammette l'utilizzazione ai fini di contestazione dei verbali di dichiarazioni pregresse, sia di quelle rese davanti alla polizia giudiziaria, come nel caso di specie, che di quelle rese davanti al pubblico ministero, pero' limita il valore di quelle dichiarazioni alla valutazione della credibilita' del teste. In altri termini, la legge consente, attraverso il meccanismo della contestaziane, l'introduzione in giudizio di atti istruttori, consente che il giudice prenda cognizione del contenuto delle affermazioni rese dai testimoni alla polizia giudiziaria ovvero al pubblico ministero, autorizza il giudice a valutare le dichiarazioni lette per le contestazione onde esprimersi sulla credibilita' del teste, pero' nel contempo vieta allo stesso, giudice di utilizzare in alcun modo, in sede di ricostruzione del fatto e di decisione finale, quegli stessi atti d'indagine. E' ben evidente, pero', ad avviso del giudicante, che la valutazione circa la credibilita' del teste presuppone necessariamente una ricostruzione del fatto alla stregua dell'istruttoria dibattimentale, dal momento che in tanto il giudice puo' ritenere il teste, e percio' le dichiarazioni rese davanti a lui, non credibile, e cio' anche valutando il suo precedente apporto orale, in quanto si sia formato il convincimento di uno svolgimento dei fatti diverso da quello raccontato dal teste stesso in giudizio. Quindi, in virtu' dell'art. 500 c.p.p., il giudice, pur avendo ricostruito il fatto secondo certe modalita', tuttavia all'esito del dibattimento deve assumere decisioni difformi dal convincimento che si e' formato in punto di fatto dovendo comunque privilegiare, in termini di validita' probatoria, soltanto le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste, e percio' una ricostruzione dei fatti ritenuta dallo stesso giudice affatto attendibile e percio' affatto conforme al vero. La conclusione a cui porta la norma denunciata in queste sede e' in evidente contrasto con le norme costituzionali. Ed invero, perche' si realizzino e osservino i principi costituzionali dei diritti inviolabili, tra cui quello di azione, nonche' della giurisdizione penale e di legalita', e' necessario che al giudice sia consentito, nell'ambito di un processo improntato alla regola anch'essa di rango costituzionale del contraddittorio (art. 111 commi 1-2 Cost.), di utilizzare e valutare pienamente tutti gli elementi emersi nel corso del dibattimento, anche al fine di rendere concreto e attuale il fine primario ed ineludibile del processo penale che rimane quello della ricerca della verita', e cio' in armonia con i principi costituzionali(1). Ed al principio della ricerca della verita', a cui deve essere improntato il processo onde garantire il rispetto delle citate norme costituzionali, e' strettamente connesso il principio del libero convincimento del giudice perche' solo attraverso un vaglio completo di tutto il materiale probatorio, legittimamente introdotto in giudizio, e' consentito al giudice di formarsi un convincimento pieno quanto al reale svolgimento dell'accaduto, e soltanto ponendo il giudice in condizione di formarsi detto convincimento viene garantito il fine primario della ricerca della verita'. In altri e piu' precisi termini, consentire al giudicante di utilizzare in termini probatori tutti gli elementi acquisiti in giudizio in conformita' alla legge equivale a porlo nella condizione di operare una ricostruzione dei fatti il piu' verosimilmente vicino alla verita' dei fatti, e percio' in conformita' ai principi costituzionali(2). Diversamente, la previsione di irragionevoli limiti di utilizzazione rispetto ad elementi che lo stesso legislatore ammette siano introdotti nel dibattimento e puranco valutati, imponendo al giudice di non prendere in considerazione dati pure conosciuti legittimamente e pure valutati, sebbene parzialmente, condiziona, artificiosamente, la decisione, allontanando quest'ultima non solo dal convincimento formatosi nel giudicante ma anche, e di conseguenza, dalla ricerca della verita'. In buona sostanza, il limite quanto all'utilizzo delle pregresse dichiarazioni dei testimoni e l'esclusione di un qualsivoglia loro valore probatorio proprio perche' artatamente impongono al giudice decisioni contrastanti con la ricostruzione dei fatti ritenuta dal giudice medesimo piu' conforme a verita' violano i principi della ricerca della verita' e del libero convincimento del giudice. Ne' d'altra parte puo' ritenersi che la previsione di utilizzare in sede probatoria anche le dichiarazioni pregresse sia in contrasto con la norma costituzionale che ha sancito il principio del contraddittorio (art. 111 comma 4 Cost.), ne' tanto meno che una tale previsione confligga pure con il principio dell'oralita' del giudizio. Infatti, l'acquisizione e utilizzazione di quelle dichiarazioni seguirebbero ad un previo esame del teste in dibattimento e in contraddittorio di tutte le parti, ma soprattutto conseguirebbero ad una constatata divergenza rispetto alle affermazioni precedenti e ad un atteggiamento del dichiarante di persistere nella nuova e diversa versione dei fatti nonostante la contestazione. Si tratterebbe, quindi, in sostanza, non gia' di recuperare una prova formatasi esclusivamente in sede di indagini preliminari e in assenza di contraddittorio, bensi' di avere cognizione piena delle dichiarazioni rese nel tempo dalla medesima persona, a fronte delle accertate difformita', e cio' onde ricostruire il fatto nei termini ritenuti congrui e conformi a verita' dal giudice. Ne' una tale diversa disciplina sarebbe in contrasto con l'art. 111 comma 4 della Cost. laddove afferma che la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' (1) Corte cost. n. 255 del 1992. (2) D'altra parte il libero convincimento non e' sinonimo di arbitrio stante l'obbligo costituzionale della motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale (art.111 comma 6 Cost.). sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore essendo del tutto evidente che nel caso di cui si tratta vi e' un'escussione orale del testimone, al quale tutte le parti possono rivolgere domande anche quanto alle contestate difformita'. In conclusione alla stregua delle precedenti argomentazioni non e' manifestamente e infondata la questione di legittimita' costituzionale e dell'art. 500 comma 2 c.p.p., in relazione agli artt. 2, 24 comma 1, 25 comma 2, 101 comma 2- 5 della Costituzione nella parte in cui non prevede che possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e successivamente utilizzate dal giudice quale prova dei fatti le dichiarazioni rese in precedenza dal teste e utilizzate per la contestazione. La questione sollevata e' rilevante in questa sede, per come gia' detto, attesa la difformita' tra le dichiarazioni odierne dei testimoni Mazzucchelli Giuseppina, Bonetti Silvana e Bonetti Emma e quelle pregresse, cio' essendo emerso alla stregua della contestazione del pubblico ministero. Ritiene inoltre il giudice di sollevare in via subordinata, e nell'ipotesi che non sia accolta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500 comma 2 c.p.p., analoga questione quanto all'art. 500 comma 4 c.p.p. Si e' gia' detto che tale ultima norma contempla le ipotesi di una deposizione maturata in un ambito di illiceita', disponendo in tal caso l'acquisizione del verbale d'indagine; e le circostanze illecite ivi previste sono quelle dei testimone sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro finalizzati ad evitare la sua deposizione o ad ottenere una falsa deposizione. Si tratta di un'ipotesi del tutto eccezionale di acquisizione del verbale in un impianto normativo che, come si e' gia' avuto modo di sottolineare, privilegia soltanto la deposizione dibattimentale sancendo in via generale un divieto di lettura e di allegazione, di talche' l'interpretazione di detta norma non puo' che essere restrittiva e limitata agli specifici casi ivi contemplati. Ne consegue che l'art. 500 comma 4 c.p.p. non puo' applicarsi a quelle ipotesi in cui il giudice valuti la deposizione assunta falsa ai sensi dell'art.372 c.p., pur ritenendo lo stesso giudice che non si verta in quelle ipotesi del comma 4 perche' difettano assolutamente quegli elementi concreti cui si riferiscono i commi 4 e 5 dell'art. 500, ovvero perche' reputi che la falsa testimonianza sia maturata in un ambito tutt'affatto diverso, per differenti ragioni essendo stato indotto il testimone a dire appunto il falso. Si pone allora in tutta evidenza il contrasto tra l'art. 500 comma 4 c.p.p. e l'art. 3 della Costituzione essendo affatto ragionevole la disparita' di disciplina normativa nelle due distinte e sopra citate ipotesi (teste minacciato o subornato da un lato, e teste piu' semplicemente falso dall'altro), trattandosi in entrambi i casi di testimonianze non veritiere e dovendosi evitare che il giudice sia costretto ad assumere una decisione fondata su di una testimonianza maturata nell'ambito di una condotta illecita. In buona sostanza, sulla scorta dell'attuale formulazione dell'art. 500 comma 4 c.p.p. consegue che a fronte del teste subnormato o minacciato o sottoposto a violenza, e tale ritenuto dal giudice, si consente l'utilizzo delle dichiarazioni pregresse, mentre nella diversa e piu' semplice ipotesi della falsa testimonianza, pure valutata questa dal giudice alla stregua dell'intero compendio probatorio e senza necessita' di quei particolari accertamenti del comma 5 dell'art 500 c.p.p., il giudice medesimo e' costretto ad utilizzare il portato orale del dibattimento e ad assumere una decisione fondata per riconoscimento dello stesso giudicante su presupposti ritenuti falsi. Peraltro il contrasto e' anche con l'art. 111 comma 5 della Costituzione il quale, autorizzando e legittimando soluzioni legislative volte a regolare i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio delle parti per effetto di provata condotta illecita, ha inteso unficare tutte le ipotesi di tal genere essendo arbitraria all'evidenza ogni distinzione nell'ambito delle situazioni in cui la deposizione sia il frutto di condotte illecite. D'altronde l'art. 111 comma 5, in conformita' agli altri principi costituzionali di cui si e' detto, intende proprio garantire la ricerca della verita' allontanando soluzioni legislative che impongano di assumere decisione su elementi probatori dal giudice ritenuti inquinati. In conclusione, alla stregua delle precedenti argomentazioni non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500 comma 4 c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 111 comma 5 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e successivamente utilizzate dal giudice quale prova dei fatti le dichiarazioni rese in precedenza dal testimone e utilizzate per la contestazione allorche' si ritenga che vi siano gli estremi del delitto dell'art. 372 c.p. La suddetta questione e' poi rilevante nell'odierno procedimento atteso che l'assoluta divergenza tra le dichiarazioni rese in giudizio e quelle precedenti nei termini sopra riportati allo stato rende prevedibile, secondo una valutazione del tutto astratta ed ipotetica, un ulteriore e piu' concreto vaglio nel prosieguo del dibattimento circa la sussistenza o meno degli elementi integranti il delitto di falsa testimonianza di cui all'art. 372 c.p, e in relazione alle deposizioni di Mazzucchelli Giuseppina, Bonetti Silvana e Bonetti Emma. Consegue la devoluzione delle questioni alla Corte costituzionale.